La Chiesa e il convento cistercense dedicato a S. Lucia avevano un posto di rilievo nel culto cittadino, per la sua ubicazione nel cuore di Ortigia e soprattutto per la festa di S. Lucia di maggio, istituita a ricordo di un miracoloso intervento (ancora oggi celebrato la prima domenica di maggio) della Patrona durante la carestia del 1646, quando la Santa avrebbe condotto due navi cariche di cereali nel porto interrompendo la lunga fame dei Siracusani, quella "dira fames" che aveva fatto soffrire il popolo, come ricorda la lapide esistente nella chiesa al disotto del coro delle monache.
Le notizie sulla Chiesa e il convento non sono esattamente precisabili per carenza di documentazione: alcune fonti attribuiscono la costruzione della vecchia chiesa al 1427 per volere della regina Isabella, moglie di Ferdinando di Castiglia, sul luogo in cui fu brutalmente violentata la Santa; altre testimonianze affermano che la Chiesa già esisteva e che la regina la migliorò nel 1483.
Da un documento del 1695 si può apprendere la storia della ricostruzione della chiesa dopo il sisma del 1693.
La Chiesa, dapprima sede di un monastero di monache bernardine, fu distrutta e successivamente ricostruita per volere della Rev. Madre Badessa che richiese in un primo momento di poter costruire una baracca dentro lo stesso monastero con funzione di chiesa, ma essendo ciò contro le disposizioni dei sacri canoni, momentaneamente richiesero che la stessa fosse approntata anche in un altro luogo, pur di liberare la fabbrica per la ricostruzione.
Le monache vollero che la Chiesa risorgesse più ampia di prima ma che avesse un posto suo nella piazza che rappresentava il centro della vita civile della città. E per questo che fecero spostare l'ingresso della chiesa dalla attuale Via Picherali alla piazza, con i lati della suddetta chiesa uno verso ponente, scendendo verso la Fontana Aretusa, e l'altro verso levante, dentro la clausura del monastero, terminando con l'altare maggiore e la cappella verso mezzogiorno. È probabile, ma non si ha certezza, che la facciata del precedente edificio, posta nell'odierna Via Picherali, fosse bizantino-normanna con la disposizione ad oriente.
La ricostruzione della Chiesa fu eseguita a spese del monastero e delle offerte della popolazione e il materiale di risulta fu scaricato dietro le mura della città. L'appalto fu aggiudicato al capomaestro Antonino Puzzo. Scarse notizie si hanno sulla redazione del progetto, infatti non è sicuro che l'autore sia stato Luciano Caracciolo; i lavori per contratto avrebbero dovuto realizzarsi entro due anni ma si protrassero fino al 1703 e il Caracciolo non appare menzionato. La lunga e dettagliata relazione del 1704 fu redatta da Luigi Casanova, nominato esperto dalla Madre Badessa e dal Procuratore generale del Monastero.
S. Lucia alla Badia sembra costruita in due stili diversi: la parte inferiore è alla maniera del Picherali, con bei rilievi degli stemmi spagnoli come era prima dell'ascesa al trono di Filippo V nel 1705, mentre la decorazione dell'ordine superiore è una specie di variante di rococò che ricorda i pannelli in legno così frequenti nelle sacrestie siciliane. Rilievi dello stesso stile ornano la facciata di Palazzo Borgia. Una forma diversa di quasi rococò si può vedere nei capitelli del tempietto ottagonale di S. Lucia al Sepolcro. Lo stile è del tutto insolito in Sicilia: l'unica analogia sembra offerta dai rilievi nei pennacchi dell'ex chiostro dell'Olivella, ora Museo Nazionale, a Palermo.
La chiesa ha un alto prospetto (m. 25) composto da paraste ioniche, la cui trabeazione è costituita da una balconata chiusa da una elaborata ringhiera a petto d'oca. Il portale con frontone spezzato sorretto da colonne tortili con alto piedistallo è decorato da una cornice contenente raggi, su cui sono posti una colonna, una spada, una palma e una corona, simboli del martirio di S. Lucia. Ai lati, racchiusi entro cornici, stemmi dei reali di Spagna sormontati da corone. Sulla sommità una croce di ferro rimossa perché pericolante.
Ad unica e raccolta aula, è quello tipico delle chiese monastiche.
Nella volta un affresco fervido settecentesco con il "Trionfo di S. Lucia". Dietro l'altare maggiore vi è un "Martirio di S. Lucia", dipinto intensamente narrativo di Deodato Guinaccia (II metà del secolo XVI).
Gli stucchi furono eseguiti da Biagio Bianco di Licodia nel 1705, mentre le dorature sono del 1784 così come il restauro delle volte con gli affreschi riguardanti il miracolo del 1646.
Il paliotto d'argento fu eseguito dall'orafo messinese Francesco Tuccio nel 1726. Nella parte destra si può ammirare una tela di Giuseppe Reati (1641) con il miracolo di S. Francesco di Paola. La cantoria, infine, posta sulla verticale del vestibolo, è chiusa sulla navata da un'alta gelosia lignea ad andamento curvilineo.
Fonte: http://www.galleriar...Inserito da Alfredo Petralia
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