La Fontana dell'Elefante si presenta articolata in più parti, sintetizzate in tre registri sovrapposti, relativi a tre tipologie di pietre dure.
Una breve gradinata in pietra lavica (1996) conduce alla fontana vera e propria, costituente il primo registro. Un tamburo polilobato costituisce la fontana. Ai quattro angoli figure allegoriche di bambini reggono cornucopie, stanti su erme le cui maschere gettano l'acqua su vasche poliformi. Mentre i due lati/lobi minori recano iscrizioni dedicatorie tra cui la firma di Vaccarini e la data di realizzazione, quelli maggiori rappresentano le personificazioni dei maggiori fiumi catanesi, a sud Amenano, a nord Simeto. Le due figure ad altorilievo reggono grosse anfore che gettano acqua su ampie vasche a conchiglia, rette da singole mensole a riccio. Al di sotto delle vasche vi sono incisi brani dalle fonti classiche descriventi i due fiumi: Virgilio per il Simeto, Ovidio per l'Amenano. I due fiumi sono rappresentati seguendo l'iconografia classica, ossia come un adulto e come un fanciullo per rappresentare la qualità della forza dei rispettivi corsi d'acqua (il debole Amenano ha la forza di un ragazzo, il tumultuoso Simeto quella di un guerriero). Per la figura dell'Amenano, Vaccarini si ispirò ad una incisione di conio del IV secolo a.C. relativa alla zecca di Katane. La figura servì da base anche per il Simeto, non rappresentato invece sui tipi monetali greci.
L'acqua dalle vasche più piccole si riversa poi in una grande vasca in marmo risalente al 1757 che segue la forma del basamento e funge da base per tutta l'opera.
La fontana chiude con una base bombata che funge da base per il secondo registro, costituito dalla statua dell'Elefante, detta popolarmente Liotru. L'Elefante è costituito da pietra lavica molto porosa, con elementi in pietra calcarea che ne evidenziano i dettagli degli occhi e le zanne, oltre ad una gualdrappa in marmo su cui viene riproposta in bassorilievo la figura dell'elefante su un piedistallo e una figura femminile armata stante sulla groppa. La statua è piuttosto rigida e rappresenta l'animale mentre inarca in su la proboscide. Essa presenza vistosi restauri alle zampe, realizzati dopo la frattura della statua avvenuta con il crollo con il sisma del 1693, eseguiti da Vaccarini.
Sul dorso dell'animale è un basamento quadrangolare coronato, su cui si innesta l'ultimo registro del monumento. Si tratta di un obelisco granitico proveniente - pare - da Assuan su cui sono incise diverse immagini impropriamente e arbitrariamente associate al culto di Iside. Agli studi più recenti infatti si deve l'interpretazione di tali immagini quali una goffa imitazione della scrittura geroglifica, segno che l'obelisco non è culturalmente egiziano, ma doveva fungere da elemento decorativo (se ne è supposto l'uso come meta per il circo romano della città ). Questo spiega anche la sezione ottagonale anziché quadrangolare del manufatto. Si è ipotizzato che il blocco di granito fosse appena sbozzato e quindi lavorato a Catania o in altra città occidentale, dove appunto avrebbe assunto la sezione ad ottagono e acquisito i falsi geroglifici. Sulla punta, creata probabilmente per la realizzazione del monumento nel Settecento (giacché taglia di netto le quattro figure ivi scolpite), trova posto il complesso metallico rappresentante il globo, la Croce, i gigli, la palma del martirio e la tavoletta di Sant'Agata (su cui vi sono le lettere MSS-HD-EPL). Queste parti, non rappresentate nelle stampe settecentesche e dunque potrebbero non essere previste dal progetto originario, chiudono il monumento al suo apice.
Giovan Battista Vaccarini, quando fece realizzare questa fontana, trasse spunto da diversi elementi.
Come già detto i due rilievi degli dei fluviali provengono dal modello dell'Amenano raffigurato sui conii greci. L'impostazione dell'elefante con l'obelisco sulla groppa, apparentemente originale, trae spunto dalla Fontana della Minerva a Roma, opera di Gian Lorenzo Bernini cui l'architettura vaccariniana si rifà sovente, a sua volta ispirata da una immaginaria statua semovente descritta nell'Hypnoerotomachia Poliphili, scritto attribuito a Francesco Colonna ed edito a Venezia nel 1499. A loro volta tuttavia le tre immagini potrebbero provenire da una impostazione che fu già presente a Catania, come potrebbe testimoniare lo stemma civico concesso da Federico II di Svevia alla città nel 1239, rappresentante l'elefante sormontato da una "A" che rievocherebbe un obelisco.
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