Sala 1. Nella prima sala del Museo, sono esposti oggetti, d'uso comune. Molto interessanti, sono i vasi antropomorfi, cioè con fattezze umane, risalenti al diciannovesimo secolo. Erano usati come vasi portafiori, ed erano collocati nei balconi, o nelle terrazze. Ancora oggi, camminando per il corso di Taormina, potete osservarne alcuni. Questi particolari vasi, sono stati realizzati nelle botteghe di Caltagirone, dove sono chiamati, teste di turcu. Infatti, nell'ottocento, in Sicilia, andava di moda, il tema delle lotte, combattute nell'undicesimo secolo, tra i cristiani, e gli arabi, che erano chiamati, turchi. Questi fatti storici, erano narrati, nell'opera dei pupi, cioè nei teatrini, che un tempo erano allestiti nelle piazze, e i cui personaggi erano i condottieri normanni, impersonati dalle marionette, dette appunto, pupi siciliani.
Nelle due vetrine di questa sala, sono esposti, antichi oggetti, usati nelle pasticcerie siciliane. Si tratta di stampini e di pozzetti in metallo, per i gelati, e per i dolci.
Risalgono alla fine dell'ottocento. I gelati, erano serviti in coppette di alpacca, come ancora oggi avviene, in alcune gelaterie siciliane. Date un'occhiata, alle antiche forme in metallo. I pasticceri siciliani, le usano ancora oggi, per la cottura del pandispagna, usato per fare torte, dolci, e cassate.
I piatti esposti in questa sala, sono del diciannovesimo secolo, e dei primi anni del ventesimo.
Sono stati prodotti a Vietri sul mare, cittadina della Campania, ancora oggi famosa per le sue ceramiche.
Questi piatti, erano usati per essiccare al sole, l'estratto di pomodoro, un alimento ancora oggi molto utilizzato nella cucina siciliana, e in genere dell'italia meridionale. Questi manufatti, sono in terracotta maiolicata.
Quella della maiolica, è una tecnica medievale, che ieri come oggi, prevede una doppia cottura del vaso. Con la prima cottura, il vaso, diventa terracotta. Poi, il ceramista, ricopriva la superficie, con una sostanza a base di silice, e di stagno, su cui dipingeva le decorazioni, con colori naturali, estratti da ossidi di metallo. Con la seconda cottura, la silice, diventa vetro, e lo stagno, fissa i colori. Il risultato, è una superficie liscia, lucida, e soprattutto impermeabile. Questi piatti, erano usati anche a tavola, come piatti da portata.
Sala 2. Questa grande sala, è chiamata, Salone del quattrocento, perchè fa parte di un corpo di fabbrica, realizzato proprio nel quindicesimo secolo. In questa sala, secondo la tradizione, si sarebbe riunito il parlamento siciliano nel 1411, quando si dovette decidere la successione della dinastia Catalana. La grande mappa della Sicilia, dipinta su un muro, non è antica! Infatti, é un affresco che risale agli anni 40 del novecento, quando Palazzo corvaja, fu restaurato, dall'architetto Armando Dillon.
Per terra, a sinistra, si possono osservare le stoviglie, che si usavano in sicilia, alla fine dell'ottocento, e all'inizio del novecento.
Si tratta di piccole anfore, e di numerosi scolapasta, in ceramica invetriata.
Le decorazioni sono molto semplici: in gergo, si chiamano motivi fitomorfi, cioè decorazioni con fiori, e fogliame.
Questi manufatti, erano prodotti dai ceramisti di Caltagirone, di Burgio, e di altre città della ceramica siciliana.
Su alcune sedie, potete vedere gli abiti tipici, della tradizione greco albanese. In sicilia, come in tutte le regioni del sud italia, nel quindicesimo secolo, giunsero numerosi profughi albanesi.
Fuggìvano della penisola balcanica, in seguito all'invasione dei turchi ottomani.
Queste etnie, di religione cattolica di rito greco, sono chiamate, arberèsh. Da 500 anni, conservano con cura le loro usanze, i loro riti, e i loro costumi.
Questi abiti femminili, sono caratterizzati da ricchissimi ricami, e da brillanti colori. Ancora oggi, le donne di questi paesi, in occasioni importanti, indossano gli antichi abiti, che ormai si tramandano da generazioni.
Di notevole interesse, sono le parti di carretti siciliani, che potete vedere in gran numero. Sono tutti in legno intarsiato e dipinto a mano, con colori vivacissimi.
Si tratta di lunghe stanghe, che raccordavano il vero e proprio carro, con il cavallo, che lo trainava. Interessanti sono anche le chiavi di carretto, che si trovavano nella parte posteriore del carretto. Una sorta di targa.
In particolare, questa, raffigura un avvenimento storico, come si evince dalla scritta.
è la battaglia, vinta dai consoli romani Caio Mario, e Lutazio Catulo, che si combattè a Vercelli, contro i Cimbri, nel 101 a.C. Questa chiave, risale alla metà del novecento.
Interessanti, sono anche, alcuni pupi del 1800, detti anche, paladini. I pupi dell'800, avevano un'articolata struttura in legno, e crini di cavallo, o di asino.
La testa era in terracotta, o in legno, e i vestiti di stoffa. Gli accessori, erano in latta, feltro, e ferro. La trama dell'opera dei pupi, riguardava le gesta eroiche dei cavalieri medievali, e soprattutto, del ciclo epico Carolingio. Sono le imprese di Orlando, nella guerra di Carlo Magno, contro i mori.
L'episodio centrale, è l'eroica morte del paladino Orlando, capo dell'esercito di Carlo Magno, episodio ambientato nella gola di Roncisvalle.
L'opera dei pupi, si diffuse in sicilia, soprattutto dopo l'unità d'italia, cioè dopo il 1860. Questo perchè, i temi dell'onore, della fedeltà , e della giustizia, erano molto cari alla gente comune, che così riviveva una sorta di riscatto morale: una rivincita, nei confronti di uno stato autoritario, e lontano, dagli interessi della collettività .
Fonte: LinkInserito da Alfredo Petralia