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Benvenuti in Sicilia

etnaportal.it  Turismo in Sicilia "manu manedda"
Immergiti in una cultura millenaria, nella cultura siciliana e riscoprirai nel Mediterraneo il cuore della sua gente...

Ri-Scopri le città di Sicilia

... Un viaggio fra colori, profumi, sapori per riscoprire l'unicità e la bellezza della Sicilia, accompagnati "manu manedda" alla scoperta di 390 piccoli mondi. ...

Feste, Sagre e Tradizioni

... Feste, Spettacoli, Expo, Mercatini, Folklore, Festival, Radunie Spettacoli teatrali. Per conoscere e scoprire, manifestazioni antiche e recenti. ...

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Un viaggio fra colori, profumi, sapori per riscoprire l'unicità e la bellezza della Sicilia, accompagnati "manu manedda" alla scoperta di 390 piccoli mondi.

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Palazzo del Monte di Pietà

Riserva Naturale Integrale Grotta Monello

Mitologico, Storico, Parchi, Riserva, Archeologico, Natura, Grotte, Monumentale, Paesaggio, Panoramico
La Grotta Monello è stata dichiarata Riserva Naturale Integrale nel 1998 e affidata in gestione al CUTGANA allo scopo di tutelare l'eccezionale sviluppo di stalattiti e stalagmiti e la ricca fauna ca...

  Siracusa

Palazzo Majorana (della Nicchiara)

Monumentale, Storico
Il palazzo dei Leoni, in origine della famiglia Renda e poi passato, alla fine del Settecento, ai Majorana, baroni della Nicchiara, presenta resti dell'assetto cinquecentesco nelle due prime elevazion...

  Militello in Val di Catania

Centro storico

Paesaggio, Panoramico
In giro per le vie di Bronte

  Bronte

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  • Miracolo Madonna dei Cappuccini
    Nell’anno 1726 una pioggia ininterrotta minacciava il raccolto del grano. Per scongiurare il pericolo della fame, tutto il popolo guidato dall’Arciprete e dal Sindaco del tempo, preceduto da uno stuolo di fanciulli e di fanciulle con le chiome sciolte si recò processionalmente nella chiesa dei Padri Cappuccini per implorare alla Vergine Santissima Immacolata la cessazione della pioggia. Non appena il quadro della Madonna fu portato in mezzo alla piazza antistante, cessò miracolosamente la pioggia che cadeva quasi ininterrottamente da circa due mesi (Giugno e Luglio). Da allora sempre viva è stata la gratitudine e la devozione dei Romettesi verso la Vergine Santissima Immacolata.
  • Simbolo dei coevi Fedeli d'Amore
    La Chiesa di Santa Caterina D'Alessandria, orientata verso l'Argimusco, a sud e non verso est, com'era usanza all'epoca, singolarmente conserva un merlo ghibellino e non ha nell'arco del portale nessuna chiave di volta: Nel portale si distingue, inoltre, una rosa simbolo dei coevi Fedeli d'Amore, cui apparteneva tra gli altri Dante Alighieri, e poi i Rosacroce. Santa Caterina D'Alessandria era la santa patrona degli alchimisti, e nel 1310 è documentato che Villanova, il piu' famoso alchimista e medico europeo, fosse al seguito di Federico III a Montalbano, per cui presente durante la costruzione. ---------------- Notizie tratte dal Libro "Argimusco Decoded, Antiche conoscenze mediche e alchemiche svelano il mistero sulla realizzazione del piu' grande sito di statue megalitiche al mondo" - di Alessandro Musco, Paul Devins.
  • Manu Manedda
    Cè 'nparadisu pusatu na tri pedi* unni lu celu si cusi cu lu mari, unni lu suli sciogghi lu pinseri, unni si scinni cchiù 'nfunnu 'nta lu cori. E l'occhiu si rapi a meravigghia na sta terra ca resta la cchiù bedda unni si veni, cu li frastorni arreri, ju t'accumpagnu … manu manedda. C'è un Paradiso poggiato su tre piedi* dove il cielo diventa un tutt'uno con il mare dove il sole scioglie la fantasia dove si arriva nella parte più profonda del cuore. e lo sguardo resta meravigliato per una terra che resta la più bella dove se vieni a visitarla, in vacanza, te le faccio scoprire accompagnandoti … mano nella mano. autore: Angelino Finocchiaro NOTE: *(allusione alla raffigurazione della Sicilia con il triscele e alla storia di Colapesce)
  • Stupor Mundi - Presepi di Acireale

    Stupor Mundi - Presepi di Acireale

    Acireale
    Dal '700 il presepe rappresenta la devozione e la maestria della città, dagli artigiani ai bambini il racconto del Natale si mostra attraverso ricostruzioni fantasiose dell'Evento.

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    Racconti, miti e leggende

  • IL CASTAGNO ED I DIAVOLI ROSSI
    Sono nato da un piccolo riccio caduto per caso dalla bisaccia di un cacciatore. Sin da quando, piccolo arbusto, mi sono affacciato dalla terra, gli gnomi, che avevano casa poco lontano, provvedevano a tenermi caldo d?inverno ed a non farmi mancare l?acqua d?estate. Si sa, da noi in Sicilia, crescere non è facile, ma in breve tempo ho visto diventare il mio tronco vigoroso e forte e la mia chioma ricca e ombrosa tanto che i miei amici gnomi si sono trasferiti in una deliziosa villetta tra le mie radici. Mi ricordo che un giorno, la regina sorpresa dal temporale con tutto il suo seguito, trovò riparo sotto le mie fronde. Sapete come mi hanno chiamato da allora? ?Il castagno dei cento cavalli!? Lo so, vi sembra esagerato ma vi assicuro che c?era davvero una confusione apocalittica quella notte; tra lampi, tuoni, pioggia, e il vulcano che faceva la sua parte regalandoci continui boati!! Pensate che gli gnomi hanno impiegato quasi tutta la notte a tenere calmi i cavalli e i cani; e la giovane Giglioverde ( che è una sposina di appena 253 anni) ha utilizzato tutte le sue scorte di erbe e bacche per gli infusi calmanti! Per fortuna, al primo raggio di sole, le fate del mattino, spargendo un po? della loro polvere segreta mista al polline di zagara, hanno regalato a tutti un po? di riposo. Ma sapete quale è stata la notte in cui mi sono spaventato di più? E? stata la notte della rivolta dei Troll Quella notte terribile (erano già passati 200 anni da quando la regina si era riparata sotto le mie fronde) i Troll, giganteschi e minacciosi, con la pelle umida e sporca, brandendo le loro rudimentali clave e facendosi luce con enormi torce, si precipitarono per i sentieri impervi della montagna; volevano conquistare il territorio degli gnomi e quello degli elfi. La battaglia fu terribile ed improvvisamente un Troll, inciampando in una delle trappole tese dagli gnomi, cadde rovinosamente dando fuoco alle mie fronde. Il mio terrore era infinito, già mi vedevo morto come la quercia che il mese prima era stata colpita da un fulmine, avrei voluto fuggire mentre sentivo il mio tronco bruciare e la linfa scorrere via dal mio corpo. . . aiuto!. . . aiuto! pensai sempre più convinto di essere alla fine dei miei giorni; ma improvvisamente vidi arrivare da lontano. . . centinaia di diavoli rossi!! Cominciarono a percuotere le mie povere fronde doloranti. . . pensavo che veramente fosse giunta la mia ora. . . chiusi gli occhi per non vedere . . . Improvvisamente sul mio tronco, sui miei rami, sulle mie foglie, sentivo scorrere acqua; meravigliosa, provvidenziale acqua che spegneva il fuoco! Aprii gli occhi, quelli che mi erano sembrati diavoli erano invece decine di garibaldini che, trovandosi di passaggio mi avevano visto bruciare e bagnando il loro poncho rosso avevano spento le fiamme. Quella notte le mie fronde si sono vestite di rosso e dell?incendio non rimane altro che una stanza annerita scavata nel mio forte tronco.
  • U Zitu e a Zita
    Su questo grosso scoglio che se ne sta perenne, in tutta la sua grandezza, in mezzo ai flutti calmi o tempestosi, si raccontava (e tutt'ora si racconta) una suggestiva storia d'amore tra due giovani del luogo. Rosalia (o Rosa) era la bellissima figlia diciottenne di un ricco signore di "Muntiriali". Un giorno tornando dalla sua quotidiana passeggiata, seguita come un'ombra dalla sua fida nutrice, vide un aitante e bellissimo giovane che trasportava, sulle spalle possenti, sacchi pieni di fave. La giovane Rosa fu come folgorata da quei possenti muscoli del giovane e se ne innamorò perdutamente. Era talmente innamorata di Peppe (questo era il nome del giovane) che osò sfidare le ire dell'arcigno e geloso genitore. Del resto anche Peppe non disdegnava e certo non restava insensibile alle lunghe occhiate e agli sguardi languidi della bella Rosa. A nulla valsero le minacce del padre di Lei di chiuderla, per il resto della sua vita, nel monastero delle Suore Orsoline di Girgenti. La fanciulla era talmente innamorata del suo Peppe e da questi, come detto, ricambiata, che non ne volle sapere di interrompere quella che il padre chiamava tresca. Intanto i due continuavano a vedersi furtivamente al calar del sole o alle prime ombre della sera, nel giardino del palazzo di Lei. Quando Peppe, poi, andava via, la giovane riertrava nelle sue stanze e buttandosi nel suo lettino, l'assaliva un pianto dirotto a causa della sua infelicità. Anche perchè, essendo orfana di madre (la mamma le era morta dandola alla luce) non aveva con chi parlare e con chi consigliarsi, dato che la nutrice stava dalla parte del padrone. Nel frattempo il padre della ragazza, avendo notato che la figliola era diventata pallida, triste e taciturna e avendo appreso dalla nutrice che raramente toccava cibo, volle consultarsi con il medico fisico di Muntiriali "Mastro" Giuseppe Modica. Questi visitando la fanciulla non potè che constatare che era sana come un pesce e le prescrisse solo delle lunghe passeggiate giornaliere che Rosa effettuava di buon grado, ma sotto lo sguardo vigile della vecchia governante. Purtroppo, come sempre accade, gli eventi precipitarono. Avendo saputo il padre che la figlia, nonostante le sue minacce, continuava a vedersi furtivamente con l'innamorato, decise di chiuderla in un lontano e sperduto monastero palermitano. Ma ahimè! La inattesa e brutta notizia sconvolse la giovane Rosa la quale fra i singhiozzi, mise al corrente della cosa anche il suo amato Peppe. "Uniti per la vita e per la morte" giurarono i due giovani amanti, ai quali balenò, in un attimo, un'idea tragica, ma sublime. Si sarebbero tolti la vita buttandosi a capofitto dalla Punta di Monte Rossello e fu così che, a notte fonda, i due giovani innamorati, datisi appuntamento, si buttarono a capo in giù per il monte sacrificando le loro giovani vite. Racconta la leggenda che dopo alcuni anni nel punto esatto dove i due trovarono orribile morte, spuntarono, come per incanto (o come un sortilegio) due scogli, uno legato all'altro da una sottile lingua di roccia. Qualcuno asserisce, non senza una buona dose di fantasia, che, nelle notti di luna piena e quando il mare è in bonaccia, chi si trova a passare con un'imbarcazione dai pressi della "Rocca Gucciarda", può udire una voce sublime e melodiosa di donna. E' la voce, dicono, di Rosa che canta una nenia triste e malinconica per lo sfortunato suo amore per Peppe. Ecco perchè, ancora oggi, lo scoglio della "Rocca Gucciarda" specie dai marinai, viene chiamato anche "U? Scogliu do Zitu e a Zita". Autore Calogero Alongi. Fonte www.comune.realmonte.ag.it/index.php?option=com_content&view=article&id=5:zito-zita-leggenda&catid=2:leggende&Itemid=24
  • Il Re di Gibilterra
    Questo re possedeva palazzi incantati nel mare, era molto potente, e la sua superbia non aveva limiti; egli era anche bellissimo e prode, e nell'udire quanto dicevasi di lui si accese d'amore la bellissima figlia del re di Sicilia. Il padre le voleva dare uno sposo, ma essa ricusò tutti quelli che domandavano la sua mano, e disse che desiderava solo per suo signore il re di Gibilterra, e che non si sarebbe piegata mai ad ac-cettare altro sposo. Il re fu molto dolente nell'udire quanto diceva la fanciulla, poiché sembravagli impossibile che il caso potesse farle conoscere da vicino il re di Gibilterra; ma poi vedendo che ella era tanto invaghita di colui, che solo nel suo affetto avrebbe potuto trovare ogni gioia, e stimando che doveva adoprarsi con tutta l'anima per renderla felice, credette ottimo consiglio andare a visitare il re superbo, e vedere che gli riuscisse di combinare le nozze. Partì con molto seguito, lasciando la figlia in Sicilia, e navigò verso il regno del re superbo di Gibilterra. Quando entrò nel porto della sua città si sdegnò forte, non essendovi nessuno pronto a rendergli quelle ono-ranze che si convenivano all'alto suo grado. Egual cosa avvenne quando discese nella città, e giunse innanzi al principe, il quale lo accolse superbamente, non come sovrano a lui eguale nel grado, ma come un oscuro forestiere; eppure pensando all'amata figliuola il re sopportò con pazienza tanta scortesia ed acconsentì volentieri a seguire il re superbo, che volle fargli vedere le meraviglie del suo palazzo costruito sotto il mare. In quella dimora incantata erano raccolte tali ricchezze che nessuno avrebbe potuto descriverle degnamente. Il corallo, la madreperla, la vegetazione stupenda del mare, le conchiglie bizzarre si vedevano da ogni parte, ed il re di Sicilia ammirava tutto, pur cercando il mezzo di parlare della propria figlia, finché riuscì nel suo intento. A poco a poco, come se discorresse senza fini ascosi ne vantò la grazia e la bontà; poi, come forse usavasi nei tempi lontani in cui avvennero i casi meravigliosi narrati dalla leggenda calabrese, il re finì col dire al Signore di Gibilterra che sarebbe stato altero di averlo per genero. Allora il re sdegnosamente lo condusse in una sala immensa dove erano moltissime statue di sale dalle forme bellissime; e additandole ad una ad una al re di Sicilia chiese se sua figlia avesse pari bellezza, e finì col dirgli che tutte quelle donne aveano sperato di poterlo sposare. Ora pareva al re di Sicilia che una di quelle statue rassomigliasse alla figlia, ora ne vedeva altre da lei assolutamente diverse; ma quando il re di Gibilterra gli fece intendere che non si sarebbe piegato a sposare la fanciulla, il povero padre, che tanto amava quella diletta sua, non seppe nascondere il proprio dolore, e disse al re che se respingeva l'affetto della fanciulla essa si sarebbe uccisa. Nell'udir quelle parole il re superbo prese freddamente un pugnale e lo porse al misero padre dicendo: «Se vorrà uccidersi datele quest'arme». Sempre più dolente il padre soggiunse: «Se dovrà rinunziare al vostro affetto si strangolerà». Il bel re di Gibilterra gli diede una sciarpa di seta rispondendo: «Se vorrà strangolarsi datele questa sciarpa». Il re di Sicilia si provò ancora una volta a commuovere il re superbo dicendo: «Se dovrà rinunziare a voi piangerà di continuo». Il bel re gli offrì un fazzoletto di stoffa d'oro dicendo: «Se piangerà datele questo fazzoletto per asciugarsi le lagrime». Il re di Sicilia tornò tristamente nel proprio regno, e narrò alla figlia quanto era avvenuto, poi, nella speranza di toglierle dal cuore l'amore, provandole tutta la crudeltà del re di Gibilterra, le mostrò il pugnale, la sciarpa, il fazzoletto. La fanciulla sentì acerbo dolore, ma non si sgomentò; prese quegli oggetti, poi chiese al padre in grazia che la lasciasse partire per un lungo viaggio, con un alto dignitario della corte. Il re versò molte lagrime nell'udire quella preghiera, ma non sapeva negare cosa alcuna all'unica figliuola, e le concesse quanto chiedeva. La fanciulla partì per Gibilterra, ove conobbe la sorella del re superbo; costei compiacevasi nel raccogliere molte belle fanciulle nei suoi palazzi fatati, che erano ascosi nel mare, e fra esse volle anche la giovane viaggiatrice, che non fece conoscere l'alto suo grado, ma seppe dare prova di tanta valentia nel sonare o nell'eseguire lavori diversi colle candide mani, che la sorella del re superbo parlò con frequenza a costui dell'ammirazione che provava per la giovanetta. Il re volle vederla e andò nelle splendide sale del palazzo ove ella dimorava; le belle fanciulle, in attesa di quella visita, avean fatto sfoggio di vesti ricchissime, ed eransi con molta arte adornate; la sola figlia del re di Sicilia, vestita dimessamente, accolse con orgoglio il re, continuando a lavorare e mostrando di non curarsi di lui. Forse a cagione di quell'indifferenza egli si accese d'amore nel vederla, e dopo quel giorno furono frequenti le sue visite alla bella sdegnosa, che non curavasi dell'amore che gli ardeva nel petto. Finalmente l'orgoglio del re superbo fu vinto, ed egli disse alla bella fanciulla che se non voleva accettarlo come sposo si sarebbe piantato un pugnale nel cuore. La fanciulla sorrise e gli presentò subito un pugnale. Al re parve di riconoscere quell'arme, ma nel dolore e nello sgomento di quell'ora badò appena a questo, e disse alla fanciulla che si sarebbe strangolato per amore. Ella sorrise ancora e gli presentò una sciarpa, che egli prese con somma meraviglia, riconoscendo in essa quella che aveva data al re di Sicilia. Sentì allora nel cuore una com-mozione profonda, e per togliersi dalla mente ogni dubbio disse con voce malferma alla fanciulla, che avrebbe pianto sempre, sempre. Ella sorrideva e gli porse un fazzoletto che egli ben conosceva; allora il re superbo seppe chi era colei che sdegnava l'amor suo; con molte lagrime le chiese perdono della crudeltà passata, e la pace fu conchiusa in mezzo al mare fra lui e la bella fanciulla. Ella volle vedere il palazzo del suo promesso sposo, passò nelle sale di corallo e di madreperla e giunse innanzi alle statue di sale, pregando il re di far cessare l'incantesimo che teneva prigioniere tante belle giovani. Egli ubbidì; per un caso meraviglioso le statue ebbero moto e vita, le fanciulle liberate si elevarono verso la superficie del mare per tornare nelle case lontane, e nel gaudio inenarrabile di quell'ora la terra di Sicilia fu congiunta dall'affetto al regno del re superbo. --------------------------------------- FONTE: Racconti del mare di Maria Savi Lopez
  • Il Crocifisso Notaio
    Corre una leggenda (riportata dallo sto­rico brontese Bene­detto Radice nelle sue Memorie storiche di Bronte) che in passato il Crocifisso fosse eletto come testimone e notaio nelle pattuizioni che i brontesi usavano fare verbalmente davanti a Lui. La tradizione non ricorda alcun debitore che sia venuto meno alla sacra e solenne promessa, come spesso, invece, avveniva (e avviene) con i contratti pubblici. Ecco cosa scrive il Radice: «Una leggenda corre ancora per bocca dei Brontesi sul crocifisso. Era quel crocifisso, poco artistico in vero, dai nostri buoni nonni, tempi beati di fede, tenuto come testi­mone e notaio nelle contrattazioni. Creditore e debitore presentavansi innanzi a Lui: “O san­tissimo Crocifisso di S. Giovanni, diceva il creditore, sii tu testimone che alla tua presenza io dò onze 100 a Tizio in prestito, da restituire fra un anno”. “0 santissimo crocifisso di S. Giovanni, rispondeva il debitore, ricevo da Caio onze 100, che alla tua presenza mi obligo restituire fra un anno, innanzi a Voi sotto pena della mia dannazione”. La tradizione non ricorda se qualche debitore sia venuto meno alla sacra e solenne promessa. Ora i popoli progrediti in civiltà s’ingegnano di romper fede ai pubblici contratti e stimano stracci di carta le convenzioni anche internazionali. Oh tempora, Oh mores!» Fonte: http://www.bronteinsieme.it/1mo/ch_4.html
  • Racconti, miti e leggende










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