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Religioso, Storico, Monumentale, Siti unesco

La chiesa Badia di Sant'Agata è una delle maggiori espressioni del tardo-barocco siciliano, opera di Giovan Battista Vaccarini, nella quale l'architetto settecentesco spinge ai massimi livelli la composizione e l'apparato decorativo della facciata e realizza, nella pianta centrale, una soluzione spaziale dall'ampio respiro in cui sono chiari i riferimenti alle soluzioni architettoniche sperimentate a Roma ad opera di Borromini e di altri artisti. Iniziata a partire dal 1735 la costruzione fu ultimata nel 1767 con la conclusione della cupola. Le decorazioni interne, dalla pavimentazione in marmo bicromo alla finitura a mezzo stucco delle pareti e degli elementi plastici dell'ordine architettonico, dagli altari in marmo giallo ai gruppi scultorei, fino alle preziose gelosie lignee, furono iniziate nel 1770 quando il Vaccarini era già morto (marzo 1768) e protratte fino al 1782. L'impianto planimetrico della chiesa è a pianta centrale con accentuazione dell'asse longitudinale rispetto a quello trasversale, attraverso la maggiore profondità del vestibolo d'ingresso e del
presbiterio rispetto agli ambienti laterali. La predominanza spaziale dell'ambiente circolare centrale (del diametro di circa 16 m ) è accentuata dallo slancio verticale della cupola, che si erge sul sottostante tamburo. Lungo le bisettrici degli assi principali si innescano quattro nicchie ad esedra, contenenti altrettanti altari sormontati da statue. Le colonne ai lati delle nicchie, non pienamente distaccate dalle pareti retrostanti, sono poste ai vertici di un ottagono irregolare, con i quattro lati lunghi disposti ortogonalmente agli assi principali ed i lati corti normalmente alle bisettrici. Le colonne sorreggono gli archi di imposta del tamburo circolare, raccordati tra di loro dalle vele. Le pareti, attraverso il movimento plastico delle colonne e delle lesene composite, e l'alternanza dei pieni e di vuoti delle nicchie, nel gioco di luci e di ombre che si determina, assumono un ritmo misurato e cadenzato che si focalizza, attraverso il coronamento della trabeazione che penetra nel presbiterio, sull'abside dove è collocato l'altare maggiore. A questo ordine architettonico principale, che segna gerarchicamente lo spazio, si associa un ordine secondario, di minore altezza che, attraverso l'uso di semicolonne doriche, delimita l'atrio d'ingresso e le unità spaziali ai lati dell'asse longitudinale sormontate dalle cantorie. A fare da raccordo tra i due ordini sono gli archi a tre centri impostati sulle semicolonne doriche e caratterizzanti il prospetto delle cantorie, in corrispondenza delle quali la trabeazione dell'ordine principale si interrompe, riunificata però dalle pregevoli gelosie lignee. Le uniche note cromatiche introdotte sono quelle degli altari in marmo giallo di Castronovo, donato dal re Carlo III, delle nicchie e dell'abside e del gruppo più complesso dell'altare del "Crocifisso" posto sulla parete di fondo del braccio destro dell'asse trasversale, oltre ad altri elementi secondari come il portalino di marmo giallo, le gelosie in legno con dorature, e la ricca sequenza di candelabri dorati a coronamento della trabeazione. Su ogni altare sono poste statue di stucco marmoreo raffiguranti: Sant'Agata con due puttini, nell'altare maggiore, Sant'Euplio, San Giuseppe, l'Immacolata Concezione e San Benedetto negli altri quattro, tutte opere di Giovan Battista Marino.
La facciata, caratterizzata dalla concavità della parte centrale rispetto alla convessità delle parti laterali a cui fa da contrappunto la triplice concavità del muro d'attico, è concepita dal Vaccarini come una sorta di quinta rispetto alla strada che la lambisce. La decorazione plastica dell'ordine gigante che segna gerarchicamente il prospetto, è costituita da elementi decorativi che richiamano l'iconografia della Vergine e Martire catanese: le palme, la corona e i gigli dei capitelli sono, infatti, i simboli di Sant'Agata. Il portale, preziosa opera di Giovanni Maria Amato, risale al 1683 e fu
recuperato per volontà del Vaccarini dalle macerie della precedente chiesa distrutta dal terremoto del 1693. Tra i capitelli corre una gelosia panciuta metallica poggiante su una frangia arabescata in pietra, palese richiamo all'ornamento del ciborio del Bernini di San Pietro in Vaticano. Il prospetto è concluso superiormente da un alto attico con parapetto traforato, mentre la maestosa cupola, con doppi costoloni semiellittici che partono dal tamburo e si saldano alla base della lanterna, conclude l'edificio.
Inserito da Alfredo Petralia   
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